IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha  pronunciato  la  presente  sentenza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 854 del 2012, proposto da: 
        Societa' Agenzia Ippica Max 96 s.r.l.,  in  persona  del  suo
legale rappresentante p.t., rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati
Caterina Grillone e Antonio Manno, con domicilio eletto in Roma,  via
Renato Cesarini, 106, presso Studio Legale Grillone; 
    Contro  Ministero  dell'Economia  e   delle   Finanze,   Aams   -
Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato,  rappresentati  e  difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale domiciliano  ex
lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
    Sul ricorso numero di registro generale 7251 del  2012,  proposto
da:  Agenzia  Ippica  Max  96   s.r.l.,   in   persona   del   legale
rappresentante p.t., rappresentata e  difesa  dagli  avv.ti  Caterina
Grillone e Antonio Manno, con domicilio eletto presso  Studio  Legale
Grillone in Roma, via Renato Cesarini, 106; 
    Contro  Ministero  dell'Economia  e   delle   Finanze,   Aams   -
Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato,  rappresentati  e  difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio ex lege in  Roma,
via dei Portoghesi, 12; 
    Per l'annullamento 
        quanto al ricorso n. 854 del 2012: 
          della nota prot. n. 2011/51060/Giochi/SCO/Conc. 1234  della
Direzione Generale  dell'Amministrazione  Autonoma  dei  Monopoli  di
Stato con le quali e' stato richiesto il pagamento  dell'integrazione
dovuta fino al raggiungimento del minimo annuo garantito  di  cui  al
decreto interdirigenziale 10 ottobre 2003; 
          di ogni altro  atto  presupposto,  conseguente  o  comunque
connesso; 
        quanto al ricorso n. 7251 del 2012: 
          della nota dell'A.A.M.S. prot.  2012/27169/giochi/SCO/conc.
1234, notificata in data 17 agosto 2012, di richiesta di integrazione
dei minimi garantiti per gli anni 2006 e 2011; 
          di ogni atto presupposto, conseguente o comunque connesso; 
    Visti i ricorsi e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio delle  amministrazioni
intimate; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore alla pubblica udienza del  giorno  5  dicembre  2012  il
Cons. Silvia Martino; 
    Uditi gli avv.ti delle parti, come da verbale; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: 
 
                              F a t t o 
 
    1. La societa' ricorrente, titolare di concessione c.d. «storica»
per la raccolta di scommesse ippiche, con il ricorso n. 854/2012,  in
punto di fatto riferisce quanto segue: 
        A) nell'anno 2006 il mercato del gioco e' stato rivoluzionato
dall'apertura del canale della raccolta del gioco a distanza, sia per
le scommesse su base ippica che per quelle sportive, perche' in forza
del decreto-legge n. 223/2006, convertito dalla  legge  n.  248/2006,
sono  stati  indetti  bandi  di  gara  (c.d.  «gare   Bersani»)   per
l'assegnazione  di  nuove  concessioni,   con   conseguente   aumento
esponenziale dei concessionari della raccolta del gioco; 
        B) la  nuova  disciplina  ha  significativamente  inciso  sul
mercato, determinando una notevole diminuzione delle  entrate  per  i
concessionari storici, pur permanendo invariate le condizioni di  cui
alla convenzione di concessione dagli stessi sottoscritta; 
        C) tale situazione ha  indotto  il  legislatore  a  prevedere
l'adozione delle c.d. misure di  salvaguardia  di  cui  all'art.  38,
comma 4, lett. l), del decreto-legge n. 223/2006; 
        D) la mancata adozione di  tali  misure  di  salvaguardia  ha
inizialmente  indotto  l'Amministrazione  dei  Monopoli  (di  seguito
A.A.M.S.)  a  sospendere   il   versamento   delle   somme   relative
all'integrazione dei minimi garantiti per gli anni dal 2006 al  2009,
perche' il giudice amministrativo (T.A.R.  Lazio  Roma,  Sez.  II,  9
luglio 2009, n. 6521; idem, 28 luglio 2009, n. 7641;  cfr.  anche  la
sentenza n. 37894/2010, emessa nei confronti dell'odierna ricorrente)
ha  ribadito,  in  piu'  di  un'occasione  che  i  provvedimenti   di
riscossione delle somme dovute  a  titolo  di  minimi  garantiti  non
possono essere adottati  prima  della  definizione  delle  misure  di
salvaguardia; 
        E)  sebbene  il  quadro  normativo  sia  rimasto   invariato,
l'A.A.M.S.  con  le   impugnate   determinazioni   dirigenziali,   ha
nuovamente ingiunto il versamento dei minimi garantiti dovuti per gli
anni dal 2006 al 2010, motivando tale richiesta con la considerazione
che «non e' possibile individuare, allo stato, misure di salvaguardia
ulteriori rispetto a quelle gia' individuate secondo i criteri  delle
procedure selettive indette nel corso del 2006»; 
    Di   tali   provvedimenti   la   societa'   ha   quindi   chiesto
l'annullamento,  deducendo  plurimi  vizi   di   illegittimita'   per
violazione  di  legge,  disparita'  di  trattamento  e  lesione   del
principio del legittimo affidamento. 
    Questa Sezione, con l'ordinanza n. 867/2012, resa nella camera di
consiglio del 7 marzo 2012, ha accolto la domanda cautelare proposta,
evidenziando   in    motivazione    il    permanente    inadempimento
dell'amministrazione  in  ordine  all'obbligo  di  adottare  le  c.d.
«misure di salvaguardia». 
    Nelle more della  definizione  del  giudizio  introdotto  con  il
ricorso n. 854/2012, e quindi accaduto che: 
        A)  la  legge  26  aprile  2012,  n.  44,  ha  convertito  il
decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, il quale  all'art.  10,  comma  5,
dispone  che,  «al  fine  di  perseguire   maggiore   efficienza   ed
economicita' dell'azione nei  settori  di  competenza,  il  Ministero
dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli
di  Stato,  il  Ministero  delle  politiche  agricole  alimentari   e
forestali e l'Agenzia per lo  sviluppo  del  settore  ippico -  ASSI,
procedono alla definizione,  anche  in  via  transattiva,  sentiti  i
competenti organi, con abbandono di ogni  controversia  pendente,  di
tutti i rapporti controversi nelle  correlate  materie  e  secondo  i
criteri di seguito indicati:  ...  b)  relativamente  alle  quote  di
prelievo  di  cui  all'art.  12  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 8 aprile 1998,  n.  169  ed  alle  relative  integrazioni,
definizione, in via equitativa, di una riduzione non superiore  al  5
per cento delle somme ancora  dovute  dai  concessionari  di  cui  al
citato decreto del Presidente della Repubblica n. 169  del  1998  con
individuazione delle modalita' di versamento delle relative  somme  e
adeguamento delle garanzie fideiussorie.  Conseguentemente,  all'art.
38, comma 4, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con
modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, la  lettera  l)  e'
soppressa»; 
        B) sulla scorta del mutato  quadro  normativo,  l'AA.M.S.  ha
notificato alla ricorrente una ulteriore determinazione  in  data  15
giugno 2012, con le quali ha nuovamente richiesto il  versamento  dei
minimi garantiti dovuti per gli  anni  2006  -  2011,  applicando  la
riduzione equitativa prevista dall'art. 10, comma 5, decreto-legge n.
16/2012 ed evidenziando in motivazione  che  tale  riduzione,  da  un
lato,   deve   essere   intesa   come   attuativa   dell'obbligo   di
individuazione  delle  misure  di  salvaguardia  e,  dall'altro,   ha
comportato  l'abrogazione  espressa  dell'art.  38,  comma   4,   del
decreto-legge n. 223/2006. 
    La societa' ha quindi  impugnato  tale  ulteriore  determinazione
(ricorso n. 7251/2012), chiedendone  l'annullamento  per  i  seguenti
motivi: 
    totale indeterminatezza dei parametri in base ai quali  e'  stato
calcolato l'importo asseritamente dovuto; 
    irragionevolezza della percentuale di riduzione del 5%, stabilita
in via legislativa; 
    lesione del principio del legittimo  affidamento  ed  ingiustizia
manifesta. 
    Alla pubblica udienza del 5 dicembre 2012 i ricorsi, infine, sono
stati trattenuti in decisione. 
 
                               Diritto 
 
    1.  In  via  preliminare  -  stanti  gli  evidenti   profili   di
connessione soggettiva ed oggettiva tra i  due  ricorsi  in  epigrafe
indicati - appare opportuno disporne la riunione. 
    2. Sempre in via preliminare il Collegio ritiene che  il  ricorso
n. 854/2012, debba essere dichiarato improcedibile, per  sopravvenuta
carenza di interesse, alla luce delle seguenti considerazioni: 
    A)  la  presente  controversia  rientra  tra   le   «controversie
pendenti» alle quali si riferisce la disposizione dell'art. 10, comma
5, del decreto-legge n. 16/2012; 
    B)  a  prescindere  da  ogni  considerazione   in   merito   alla
legittimita' costituzionale di tale disposizione,  si  deve  ritenere
che la stessa abbia imposto alle amministrazioni interessate un  vero
e proprio  obbligo  di  procedere  alla  definizione,  anche  in  via
transattiva, delle controversie relative  all'integrazione  dei  c.d.
minimi garantiti, attraverso la «definizione, in via  equitativa,  di
una riduzione non superiore al 5 per cento delle somme ancora  dovute
dai  concessionari  ...  con  individuazione   delle   modalita'   di
versamento  delle  relative  somme  e  adeguamento   delle   garanzie
fideiussorie»; 
    C)  stante  quanto  precede,  si  deve  ritenere   altresi'   che
l'insorgenza di tale obbligo abbia  determinato  l'inefficacia  delle
precedenti richieste di pagamento delle  somme  dovute  a  titolo  di
integrazione dei minimi garantiti, perche' la riduzione non superiore
al 5 per cento delle somme ancora dovute dai concessionari storici e'
evidentemente prevista  in  connessione  con  l'abrogazione  espressa
della  disposizione  dell'art.  38,  comma  4,  la  lettera  l),  del
decreto-legge n. 223/2006, che  prevedeva  l'obbligo  di  individuare
misure di salvaguardia per i predetti concessionari, ma  che  non  ha
mai avuto attuazione da parte delle Amministrazione interessate (come
si evince dal verbale della conferenza di  servizi  del  30  novembre
2011). 
    3. Passando  al  ricorso  n.  7251/2012,  avente  ad  oggetto  la
determinazione dirigenziale in data  15  giugno  2012  con  la  quale
l'A.A.M.S. ha richiesto il pagamento delle somme dovute a  titolo  di
integrazione dei minimi annui garantiti sospesi, ricalcolate con  una
riduzione del 5% ai sensi della predetta disposizione  dell'art.  10,
comma 5, del decreto-legge n. 16/2012, il Collegio osserva, in  primo
luogo, che tale  provvedimento  non  costituisce  una  mera  proposta
transattiva, bensi' appare chiaramente preordinato,  in  sostituzione
di quelli in precedenza adottati e sospesi dalla Sezione, al recupero
delle somme ancora dovute. 
    Posta tale premessa,  il  Collegio  ritiene  altresi'  necessario
evidenziare che la riduzione equitativa prevista dell'art. 10,  comma
5, del decreto-legge n. 16/2012, da un lato, deve essere intesa  come
attuativa dell'obbligo di individuazione delle misure di salvaguardia
e, dall'altro, ha comportato  l'abrogazione  espressa  dell'art.  38,
comma 4, la lettera l), del decreto-legge n. 223/2006. 
    In altri termini, il Collegio condivide la tesi (su cui si  fonda
la nuova richiesta di pagamento formulata dall'A.A.M.S.), secondo  la
quale - a fronte della  mancata  definizione  in  via  amministrativa
delle misure di salvaguardia  previste  dall'art.  38,  comma  4,  la
lettera  l),  del  decreto-legge  n.  223/2006   e   delle   numerose
controversie insorte a  seguito  delle  richieste  di  pagamento  dei
minimi  garantiti  formulate  dall'A.A.M.S.   all'inizio   del   2012
nonostante  la  mancata  definizione  in  via  amministrativa   delle
predette misure di salvaguardia - il legislatore e'  intervenuto  con
una legge-provvedimento (l'art. 10, comma  5,  del  decreto-legge  n.
16/2012) destinata ad incidere sulle controversie pendenti, abrogando
il meccanismo di salvaguardia previsto  dall'art.  38,  comma  4,  la
lettera  l),  del  decreto-legge  n.  223/2006  e  sostituendo   tale
meccanismo con un diverso meccanismo,  costituito  essenzialmente  da
una riduzione, predeterminata per legge in misura non superiore al  5
per cento, delle somme ancora dovute dai concessionari  a  titolo  di
minimi garantiti. 
    Orbene, sebbene il legislatore abbia manifestato la  volonta'  di
tener conto  della  peculiare  posizione  dei  concessionari  storici
introducendo il diverso meccanismo  costituito  dalla  riduzione,  in
misura non superiore al 5 per cento,  delle  somme  ancora  dovute  a
titolo di minimi garantiti, appare  rilevante  e  non  manifestamente
infondata  la  questione   di   legittimita'   costituzionale   della
disposizione dell'art. 10, comma 5, decreto-legge n. 16/2012  che  il
Collegio  intende  sollevare,  d'ufficio,  nei  termini  di   seguito
indicati. 
    4. Innanzi tutto, in punto di rilevanza della questione,  occorre
ribadire che l'art. 10, comma 5, del  decreto-legge  n.  16/2012,  ha
abrogato la disposizione dell'art. 38, comma 4, del decreto-legge  n.
223/2006, che aveva introdotto - in favore dei concessionari storici,
in quanto tenuti al pagamento dei minimi  garantiti  -  l'obbligo  di
definire  in  via  amministrativa  misure  di  salvaguardia  volte  a
garantire l'equilibrio economico di tali soggetti ed  ha  previsto  a
tutela di costoro soltanto la possibilita' di ottenere una riduzione,
peraltro non superiore al 5 per cento, delle somme  ancora  dovute  a
titolo di minimi garantiti. 
    Infatti questa stessa Sezione nella sentenza n. 8520  in  data  7
novembre 2011 ha da ultimo ribadito che la disposizione dell'art. 38,
comma 4, lettera l), della legge n. 223 del 2006 e' stata  introdotta
a garanzia dei concessionari storici, essendo l'obbligo  di  definire
le  modalita'  di  salvaguardia  di  tali  soggetti  finalizzato   «a
consentire  il  riequilibrio  delle  obbligazioni  consacrate   nelle
concessioni per la raccolta di scommesse ippiche gia' rilasciate,  in
ragione del mutato assetto del  mercato  delle  scommesse  ippiche  e
della   riconfigurazione   dell'assetto   distributivo   territoriale
dell'offerta di gioco,  come  ridisegnati  dalla  riforma  introdotta
dall'art.  38  del  decreto-legge  "Bersani",  che   ha   determinato
l'apertura del mercato dei giochi pubblici e l'attivazione  di  nuove
concessioni secondo una diffusione capillare  sul  territorio  e  con
piu' favorevoli condizioni di  esercizio  e  di  reddivita'»,  ed  ha
evidenziato,  nel  contempo,  come  l'introduzione  dell'obbligo   di
definire tali modalita' di salvaguardia  rendesse  «inapplicabile  il
contenuto del decreto interministeriale del 10 ottobre 2003 che aveva
stabilito, sotto la vigenza della precedente normativa, il metodo  di
calcolo per individuare il c.d. minimo garantito». 
    Risulta, quindi, evidente che, per effetto dell'abrogazione della
disposizione dell'art. 38, comma 4, del  decreto-legge  n.  223/2006,
parte  ricorrente  non  puo'  piu'  beneficiare  delle  modalita'  di
salvaguardia previste da tale disposizione. 
    Passando ora al profilo della non  manifesta  infondatezza  della
questione, il Collegio preliminarmente rammenta che (come rilevato da
questa stessa Sezione nella recente  ordinanza  n.  685  in  data  26
luglio 2012) la questione della compatibilita'  costituzionale  delle
c.d.  leggi-provvedimento  (e  cioe'  di  quegli   atti   formalmente
legislativi che tengono luogo  di  provvedimenti  amministrativi,  in
quanto dispongono, in concreto, su  casi  e  rapporti  specifici)  e'
ormai  definitivamente  risolta  dalla  giurisprudenza  della   Corte
costituzionale e dei Giudici  amministrativi  con  l'affermazione  di
principi ormai consolidati. In particolare: 
    A) la Consulta ha  riconosciuto  l'ammissibilita'  di  tali  atti
normativi in base al rilievo dell'insussistenza di  una  «riserva  di
amministrazione»,  ossia  evidenziando  che   la   Costituzione   non
garantisce  ai  pubblici  poteri  l'esclusivita'   delle   pertinenti
attribuzioni gestorie e  non  configura  per  il  legislatore  limiti
diversi da  quelli  (formali)  dell'osservanza  del  procedimento  di
formazione  delle  leggi,  omettendo  di  prescrivere  il   contenuto
sostanziale ed i caratteri essenziali dei  precetti  legislativi  (ex
multis, sentenza n. 347 del 1995); 
    B)  una  volta  ammessa  la   compatibilita'   delle   leggi   in
sostituzione di provvedimento con il vigente assetto  costituzionale,
la prevalente giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV,
9  marzo  2012,   n.   1349)   ritiene   che,   a   fronte   di   una
legge-provvedimento, i  diritti  di  difesa  del  soggetto  leso  non
vengano   ablati,   ma   si   trasferiscano    dalla    giurisdizione
amministrativa alla giustizia costituzionale. Il corollario  di  tale
ricostruzione dogmatica dell'assetto  della  tutela  delle  posizioni
incise dalla legge-provvedimento e', dunque, la valorizzazione  della
pregnanza del sindacato costituzionale di ragionevolezza della legge,
sino  a  renderlo  anche  piu'  incisivo  di  quello  giurisdizionale
sull'eccesso di potere, e cio' in modo  da  riconoscere  al  privato,
seppur nella forma indiretta della rimessione  della  questione  alla
Consulta da parte del giudice amministrativo, una forma di protezione
ed un'occasione  di  difesa  pari  a  quella  offerta  dal  sindacato
giurisdizionale sugli atti amministrativi; 
    C)   con   particolare   riferimento   al   rapporto    tra    la
legge-provvedimento   di    approvazione    di    un    provvedimento
amministrativo  gia'  adottato  e  la  pendenza  di  un  procedimento
giurisdizionale avente  ad  oggetto  tale  provvedimento,  merita  di
essere condivisa la tesi (T.A.R. Puglia Bari, Sez. I, 19 aprile 2006,
n. 1362) secondo la quale: a) la mera  pendenza  di  un  ricorso  non
impedisce  l'approvazione  della  legge-provvedimento,   in   quanto,
diversamente opinando, si finirebbe con l'ammettere un  vulnus  delle
prerogative delle assemblee legislative, mediante  l'introduzione  di
un inammissibile nuovo limite, non  codificato,  all'esercizio  della
relativa  funzione;  b)  solo  la  formazione  del   giudicato   puo'
paralizzare un intervento  legislativo  contrastante  con  il  dictum
giurisdizionale, in modo da evitare (in coerenza  con  l'assetto  dei
poteri delineato dalla Costituzione) l'irrimediabile sacrificio delle
garanzie di tutela giurisdizione; c) la pendenza di un ricorso avente
ad oggetto proprio il provvedimento amministrativo da  approvare  con
la legge non si rivela, comunque, del tutto indifferente ai fini  del
corretto  esercizio  della  funzione  legislativa,  proprio   perche'
l'eventuale e comprovata esclusiva finalizzazione  della  legge  alla
sottrazione  dell'oggetto  del  sindacato  giurisdizionale  (ed  alla
conseguente  privazione   della   stessa   possibilita'   di   tutela
giurisdizionale   per   l'interessato)   costituirebbe   un    indice
sintomatico dell'irragionevolezza della legge-provvedimento. 
    Tenuto conto di quanto precede, nonche' del fatto che  -  secondo
quanto affermato  non  solo  da  questa  stessa  Sezione  nella  gia'
richiamata sentenza n. 8520 in data 7 novembre 2011 e nelle ulteriori
sentenze n. 6520 in data 7 luglio 2009 e n. 7632 in  data  28  luglio
2009, ma anche dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato (ordinanza
31 agosto 2011, n. 3849) - i provvedimenti di  riscossione  di  somme
per il raggiungimento dei minimi  garantiti  richiedevano  la  previa
definizione delle c.d. misure di salvaguardia  di  cui  all'art.  38,
comma 4, lettera l),  del  decreto-legge  n.  223/2006,  il  Collegio
ritiene non manifestamente infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 10, comma 5, del  decreto-legge  n.  16/2012
per contrasto con il generale principio di ragionevolezza, desumibile
dall'art. 3 della Costituzione (ex multis, Corte Cost. 9 marzo  2012,
n. 53), con i principi in materia di tutela giurisdizionale avverso i
provvedimenti dell'amministrazione, sanciti dagli articoli 24,  comma
1, 103, comma 1, e 113 della Costituzione, con il principio  di  buon
andamento dell'azione amministrativa (art. 97), nonche', infine,  con
il principio del giusto processo (art. 111 e art. 6  della  CEDU,  in
rapporto all'art. 117, comma 1, Cost.) -  alla  luce  delle  seguenti
considerazioni: 
        A) la disposizione dell'art. 10, comma 5,  del  decreto-legge
n. 16/2012 appare illogica ed irrazionale, perche' il  Legislatore  -
nel sostituire ad un  meccanismo  flessibile,  come  quello  indicato
dall'art. 38, comma 4, lettera l), del decreto-legge n. 223/2006 (che
affidava all'amministrazione il compito di  individuare  le  concrete
misure di salvaguardia per i  concessionari  storici,  senza  fissare
tetti massimi, ma dando per scontata  l'esigenza  di  parametrare  le
misure di salvaguardia all'andamento del mercato delle scommesse,  in
modo da impedire che il pagamento dei minimi garantiti,  in  presenza
di una maggiore concorrenza nel mercato, dovuta all'ingresso di nuovi
concessionari,  potesse  pregiudicare  l'equilibrio   economico   dei
concessionari storici)  con  un  meccanismo  che  consente  solo  una
riduzione  forfettaria,  fino  ad  un  massimo  del  5%,  dei  minimi
garantiti dovuti in base al «vecchio» decreto  interministeriale  del
10 ottobre 2003  -  ha  agito  al  (dichiarato)  fine  di  perseguire
maggiore  efficienza  ed  economicita'   dell'azione   amministrativa
mediante la definizione stragiudiziale di ogni controversia pendente,
ma non ha considerato  che  la  predetta  riduzione  forfettaria  non
appare   adeguata   per   garantire   l'equilibrio   economico    dei
concessionari storici. 
    E' innegabile, ad esempio, che al  «mutato  assetto  del  mercato
delle  scommesse  ippiche  e  della   riconfigurazione   dell'assetto
distributivo territoriale dell'offerta  di  gioco,  come  ridisegnati
dalla riforma introdotta dall'art. 38 del decreto-legge "Bersani" che
ha  determinato  l'apertura  del  mercato  dei  giochi   pubblici   e
l'attivazione di nuove concessioni secondo una  diffusione  capillare
sul territorio e con piu' favorevoli condizioni  di  esercizio  e  di
redditivita'» (evidenziato nella gia' richiamata sentenza n. 8520  in
data 7 novembre 2011), si siano aggiunti, nel tempo, gli effetti  del
«mercato parallelo» gestito dai c.d. CTD (centri trasmissione  dati),
ossia gli effetti della presenza nel mercato italiano delle  sommesse
di operatori economici di altri stati membri che agiscono  attraverso
i predetti CTD,  in  assenza  di  concessione,  nell'esercizio  delle
liberta' di stabilimento e prestazione dei servizi  transfrontalieri,
garantite dagli articoli 49 e ss.  e  29  e  ss.  TVUE  (si  veda  al
riguardo la sentenza della Corte di  Giustizia  Costa-Cifone  del  16
febbraio 2012, emessa nelle cause riunite C-72/10 e C-77/10); 
    La  misura  stabilita  direttamente  dal  legislatore,  pertanto,
appare del tutto slegata dalla realta' fattuale,  tanto  che  nemmeno
dagli atti parlamentari e' possibile capire quale tipo di istruttoria
sia stata compiuta. 
    E cio', anche volendo considerare  la  necessita'  per  lo  Stato
italiano (richiamata dalla difesa erariale) di adeguarsi ai  principi
di parita' di trattamento e di tutela della concorrenza, sanciti,  in
materia, dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. 
    Si tratta, infatti, di principi, almeno in  astratto,  pienamente
compatibili con  la  riduzione  ad  equita'  delle  condizioni  delle
convenzioni accessive alla concessioni c.d. storiche. 
    Di  talche',  e'  evidente  che  l'individuazione  del  punto  di
equilibrio tra un eventuale vantaggio competitivo goduto  in  passato
dai  titolari  di  siffatte  concessioni,  e  l'attuale  assetto  del
mercato, doveva essere, quantomeno, il frutto di una compiuta analisi
di cui pero', nel caso di specie, non vi e' traccia; 
        B) la disposizione dell'art. 10, comma 5,  del  decreto-legge
n. 16/2012 appare quindi effettivamente finalizzata al solo scopo  di
sottrarre i provvedimenti gia' impugnati con il ricorso  n.  854/2012
al sindacato giurisdizionale (e, quindi, a vanificare il diritto alla
tutela giurisdizionale delle parti ricorrenti), perche' - a fronte di
quanto affermato non solo da questa stessa Sezione,  ma  anche  dalla
Quarta Sezione del Consiglio di Stato nelle pronunce innanzi citate -
il legislatore e' intervenuto introducendo una nuova  disciplina  che
non consente oramai alcuna forma di sindacato  giurisdizionale  sulla
mancata adozione, da  parte  dell'Amministrazione  competente,  delle
misure di salvaguardia previste dall'art. 38, comma  4,  lettera  l),
del decreto-legge n. 223/2006. 
    Ne consegue che la predetta disposizione vanifica il diritto  dei
concessionari storici di agire in giudizio per  tutelare  il  proprio
equilibrio economico a fronte del mutato assetto  del  mercato  delle
scommesse ed integra, altresi', la violazione del diritto  al  giusto
processo,  quale  consacrato  nell'art.  111  della  Costituzione   e
nell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e  delle  liberta'  fondamentali  (avente  pur  esso  rango
costituzionale per effetto del rinvio  agli  obblighi  internazionali
pattizi  di  cui  all'art.  117,   comma   1,   Cost.;   cfr.   Corte
costituzionale, sentenze nn. 348 e 349 del 2007). 
    5.  Quanto  appena  argomentato  giustifica  la  valutazione   di
rilevanza  e  non   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 3, 24, comma  1,
97, 103, comma 1, 111, 113 e 117 della Costituzione. 
    Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio,
e la rimessione degli atti alla  Corte  costituzionale  affinche'  si
pronunci sulla questione.